Cenni storici
Cercola è un centro agricolo e industriale che si estende alle falde del Vesuvio, nel suo versante nord occidentale. La sua posizione geografica le consente di rientrare tra i Paesi Vesuviani, definizione convenzionale (non riconosciuta da alcun Ente) che indica quella fascia di comuni situata ai piedi, o semplicemente, nei pressi della spettacolare montagna vulcanica di Napoli: il Vesuvio.
L’origine e la storia del paese sono legate agli avvenimenti successivi all’eruzione del vulcano avvenuta nel 1872 che distrusse il centro abitato di Massa di Somma ove originariamente la sede era situata. Solo in seguito a tale catastrofico evento essa fu spostata alla frazione “Cercula”, piccolo borgo famoso per una locanda posta all’ombra di una quercia secolare. In realtà il trasferimento della sede richiese tempi lunghi per le difficoltà inerenti il ripristino della stessa, ma il 13 Agosto 1877 venne autorizzato il cambio di denominazione da Massa di Somma a Cercola con Regio decreto del 1 luglio 1877, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 181 del 13 agosto 1877.
Tale spostamento fu reso possibile anche grazie alle pressioni di Domenico Riccardi, un ricco proprietario terriero dotato di grande ingegno ed intraprendenza, che promosse nel 1878, su progetto dell’ing. Luigi Palumbo, la costruzione della sede municipale ancora oggi sede del comune, divenendo così primo Sindaco di Cercola.
Fu proprio quest’ultimo, a cui è dedicato il corso principale del paese, ad erigere, sempre a sue spese, l’attuale Chiesa dell’Immacolata e l’annesso Convento delle Suore “Figlie di Sant’Anna”, entrambi da lui fortemente voluti per svolgervi assistenza educativa e formativa del popolo.
Provvide inoltre a far costruire diversi palazzi signorili, che restano tuttora esempio pregevole di architettura della fine del XIX secolo e che hanno determinato lo sviluppo architettonico ed economico dell’epoca.
In seguito al terremoto del 1980, che danneggiò gravemente la cittadina, numerosi ed importanti lavori pubblici furono attuati per la ricostruzione del paese.
Oggi, la zona storica è affiancata da quella più giovane e di più recente costituzione, la Lottizzazione Carafa che prende il nome dall’antica masseria attorno alla quale si è costituita. La masseria, la cui epoca di costruzione è incerta, compare su una planimetria del 1817 e pare essere appartenuta in passato alla famiglia napoletana dei Carafa della Stadera, Principi di Stigliano.
Attualmente Cercola rappresenta un Comune in continua crescita e modernità, diverse manifestazioni ed opere di carattere pubblico alimentano la visibilità del paese attribuendo ai suoi cittadini un forte senso di appartenenza.
Prodotti Tipici
L’Albicocca Vesuviana
Una delle prime testimonianze precise della presenza di albicocchi in Campania è dovuta a Gian Battista Della Porta, scienzato napoletano, che, nel 1583, nell’opera “Suae Villae Pomarium” distingue due tipi di albicocche: bericocche e crisomele, più pregiate. Da questo antico termine deriverebbe, quindi il napoletano “crisommole” ancora oggi usato per indicare le albicocche, e da cui sarebbero derivate, inoltre, le crisomele alessandrine, che ancora esistono nell’area vesuviana. Nel secolo scorso il testo ad opera di autori vari, “Breve ragguaglio dell’Agricoltura e Pastorizia del Regno di Napoli”, del 1845, riconosce l”albicocco come l’albero più diffuso, dopo il fico, nell’area del napoletano, e precisamente in quella vesuviana. Evidentemente vi era già una discreta varietà di ecotipi che offrivano frutta diverse a seconda delle caratteristiche della varietà di appartenenza, di cui oggi si riconoscono oltre 40 nella sola area vesuviana.
Con il termine “albicocca Vesuviana” si indica un insieme di oltre quaranta diversi biotipi tutti originari dello stesso luogo. I più diffusi sono: Ceccona, Palummella, S. Castrese, Vitillo, Fracasso, Pellecchiella, Boccuccia Liscia, Boccuccia Spinosa e Portici. La coltivazione è attualmente estesa a tutto il territorio dell’area vesuviana, dove infatti è nota la particolare fertilità dei terreni, che, essendo di natura vulcanica, sono ricchi di minerali e in particolare di potassio, elemento noto per la sua influenza sulla qualità organolettica dei frutti e dei vegetali in genere, e che, in questo caso contribuisce a conferire alle albicocche un gradevole e caratteristico sapore. Data la variabilità degli elementi che caratterizzano le numerose varietà, si potrebbe generalizzare la loro descrizione definendole come varietà per la maggior parte a maturazione precoce e medio-precoce: si raccolgono verso metà giugno. Sono apprezzate sul mercato per le loro caratteristiche organolettiche, soprattutto per sapidità e dolcezza. Si distinguono dal punto di vista estetico per la presenza di un sovracolore rosso sfumato o punteggiato sulla base giallo-aranciata della buccia di una buona parte di esse.
Area di produzione
Il territorio interessato alla produzione è compreso nei seguenti comuni della provincia di Napoli: Boscotreale, Boscotrecase, Cercola, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Portici, S. Anastasia, San Giorgio a cremano, S. Sebastiano al Vesuvio, S. Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno, Trecase, Torre Annunziata, Torre del Greco e Nola. La Campania è la regione più importante, nella coltivazione di albicocche, con quasi 50.000 tonnellate di prodotto, proveniente per la maggior parte dall’area vesuviana, che rappresenta circa l’80% della produzione regionale. Nell’area dei comuni vesuviani attualmente vi sono circa 2000 ettari di albicoccheti, con una produzione che in condizioni climatiche normali si dovrebbe attestare sui 400.000 quintali. La maggior parte è destinata al consumo fresco. Una quota variabile di anno in anno viene trasformata in nettari, ossia in succo e polpa, mentre una piccola parte viene trasformata in confetture, essiccati e canditi, e in ultimo una quota molto limitata è trasformata in prodotti surgelati e sciroppati.
Stato della registrazione
E’ in procinto di organizzazione la riunione di pubblico accertamento, ultima fase dell’istruttoria ministeriale, in corso dal ’99, per la registrazione quale indicazione geografica protetta (IGP), ai sensi del Reg. CEE 2081/92, prima della pubblicazione sulla GU della Repubblica Italiana.
MELA ANNURCA CAMPANA – ROSSA DEL SUD
Cenni storici
La sua raffigurazione nei dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano e in particolare nella Casa dei Cervi, testimonia l’antichissima legame dell’Annurca con la Campania felix. Luogo di origine sarebbe l’agro puteolano, come si desume dal “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio. Proprio per la provenienza da Pozzuoli, sede degli Inferi, Plinio la chiama “Mala Orcula” in quanto prodotta intorno all’Orco (gli Inferi). Anche Gian Battista della Porta nel “Suae Villae Pomarium”, nel descrivere le mele che si producono a Pozzuoli riferisce come queste siano volgarmente dette orcole. Da qui i nomi anorcola e annorcola utilizzati successivamente fino a giungere al 1876 quando il nome “Annurca” compare ufficialmente nel Manuale di Arboricoltura di G. A. Pasquale.
Descrizione
Definita la “regina delle mele” soprattutto per la spiccata qualità, l’Annurca è famosa per la polpa croccante e compatta, gradevolmente acidula e profumata.
Rivendica da sempre virtù salutari: altamente nutritiva, ricca di fbre, frena la diarrea, diuretica, particolarmente adatta ai bambini.
Uno degli elementi di tipicità che certamente caratterizzano questa coltura è l’arrossamento a terra delle mele nei cosiddetti “melai”, un tempo realizzati con strati di canapa, oggi sostituiti da altri materiali (aghi di pino, trucioli di legna, ecc.).
Le indubbie caratteristiche organolettiche di questa mela, apprezzate particolarmente dai consumatori campani e laziali, stanno progressivamente conquistando anche altri mercati, grazie anche all’ingresso nei canali della grande distribuzione organizzata.
I due ecotipi, la classica Annurca e la diretta discendente Annurca Rossa del Sud, suo mutante naturale date le comuni caratteristiche pomologiche, sono stati unificati sotto il titolo di Melannurca campana, sia pure con due distinte indicazioni varietali.
Areale di produzione
L’Annurca è coltivata in tutte le province campane anche se le aree tradizionalmente vocate ove si concentra la maggior parte della produzione sono: nel napoletano la Giuglianese-Flegrea, nel casertano la Maddalonese, l’Aversana e la Teanese e nel beneventano le Valli Caudina – Telesina e il Taburno.
Con 60.000 tonnellate medie annue, l’Annurca rappresenta il 60% circa della produzione regionale di mele e il 5% circa di quella nazionale.
Stato del riconoscimento
Nelle more del completamento dell’istruttoria comunitaria per la definitiva registrazione della “Melannurca Campana (IGP)”, il MiPAF ha accordato, con DM del 27.04.2001, la protezione nazionale transitoria della denominazione.
Santo Patrono
La vita
San Gennaro, nacque povero da genitori poveri e ancora bambino, rimase orfano di madre. Il padre, passato a seconde nozze a causa della povertà mandò il figlio, sebbene in tenera età, a fare il guardiano di porci.
Gennaro in un villaggio conobbe un Eremita del posto e cominciò a frequentarlo, recandosi da lui per essere istruito. Un giorno lo stesso Eremita invitò Gennaro a seguirlo e di questo periodo della sua vita però non né sappiamo nulla, lo ritroviamo vescovo di Benevento e martire a Pozzuoli.
San Gennaro sembra abbia versato il suo sangue per Cristo all’inizio del secolo IV. In una nota agiografica si legge infatti che Gennaro, “vescovo di Benevento, ha subito il martirio a Napoli, insieme con i suoi compagni, durante la persecuzione di Diocleziano”. Condannato, insieme con i compagni di fede, “ad bestias” nell’anfiteatro di Pozzuoli, a causa del ritardo di un giudice, sarebbe stato decapitato e non dato in pasto alle belve per il gratuito e macabro divertimento dei pagani.
Dopo oltre un secolo, nel 432, in occasione della traslazione delle reliquie da Pozzuoli a Napoli, una donna avrebbe consegnato al vescovo Giovanni due ampolle contenenti il sangue raggrumato di S. Gennaro.
Quasi a garanzia dell’affermazione della donna il sangue si liquefece davanti agli occhi del vescovo e di una grande moltitudine di fedeli.
Il singolare evento da allora si ripete costantemente tutti gli anni in determinati giorni, cioè il sabato precedente la prima domenica di maggio e negli otto giorni successivi; il 16 dicembre, il 19 settembre e per tutta l’ottava delle celebrazioni in suo onore.
Le numerose testimonianze di questo fenomeno, ritenuto tale anche dalla scienza, cominciano dal 1329, ed ancora tutt’oggi è seguito con affettuosa ammirazione dall’intera popolazione partenopea. La sincera devozione dei napoletani per questo martire, storicamente poco identificabile, ha fatto sì che la memoria di S. Gennaro, celebrata liturgicamente già dal 1586, fosse conservata nel nuovo calendario.
A questo fenomeno manca una spiegazione naturale e non dipendendo né dalla temperatura né dall’ambiente, possiamo comunque attribuirgli il significato simbolico di vivificante testimonianza del sangue di tutti i martiri nella vita della Chiesa, nata dal sangue della prima vittima, Cristo crocifisso.
Le credenze popolari legate a San Gennaro
La devozione a San Gennaro rappresenta anche un punto di partenza di credenze popolari, moltissime delle quali sono superstizioni. Seguiamone qualcuna… – Il gioco del lotto:
Tanto per cominciare i numeri di San Gennaro sono: 9 – 15 – 18 – 53 – 55.
Il gioco del lotto nacque come un gioco genovese cinquecentesco, che trapiantato a Napoli creò attorno a sé una vera e propria mitologia e tradizione, tant’è che ogni evento il popolo napoletano credeva avesse un riferimento nel lotto, così che il governo dell’epoca fu costretto a sospendere le scommesse su fatti di cronaca troppo giocati per non rischiare il fallimento delle casse dello Stato.
Il gioco del lotto è basato sul libro della Smorfia (probabilmente da Morfeo, dio del sogno) che spiega i sogni e che indica tutti i numeri che corrispondono a personaggi e avvenimenti della vita quotidiana. Ogni buon napoletano sa che la Smorfia è una chiave per tradurre sogni o eventi in numeri da giocare al lotto e che la Smorfia è anche un libro da consultare per conoscerne il significato onirico. Non tutti però sanno che l’apparente banalità di quel libro riassume le diverse tradizioni confluite nel gioco: quella orale, che collega i numeri ai fatti della vita quotidiana e quella colta, elitaria ed esoterica che, per indovinare i numeri, usa la cabala.
– La processione:
Chiamata “processione della salute”, è un connubio di fede e folclore che si svolge la prima domenica di Maggio ed è un’ antica tradizione che ricorda il primo trasferimento delle reliquie del Santo dall’agro Marciano alla catacomba di Napoli. Questo evento si colloca tra altre due date fisse del ricorrente prodigio della liquefazione del sangue: il 16 Dicembre, anniversario dell’eruzione vesuviana del 1631, e il 19 Settembre, data del martirio di San Gennaro.
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Pagina aggiornata il 10/04/2025